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instrusse. Fu adunque l’ordine che tra loro si compose tale. Condusse messer Girolamo, – chè così aveva nome il fratello di messer Lionato, – la notte seguente Fenicia in casa sua e quivi in compagnia de la moglie segretissimamente la tenne. Poi fatto provigione ne la villa di quello che bisognava, mandò una matina a buon’ora fuori essa sua moglie con Fenicia e una sua figliuola e una sorella di Fenicia, che era di tredici in quattordici anni e Fenicia ne aveva sedici. Fecero questo a ciò che Fenicia crescendo e cangiando, come con l’età si fa, aria, la potesse poi fra dui o tre anni sotto altro nome maritare. Il seguente giorno dopo l’accidente occorso, essendo per tutta Messina la voce che Fenicia era morta, fece messer Lionato ordinare l’essequie secondo il grado suo, e fatta far una cassa, in quella, senza che nessuno se ne accorgesse, non volendo la madre di Fenicia che nessuno se ne impacciasse, fece mettere non so che, e riserrò la cassa, e inchiodatala la fece turar di pece, di maniera che ciascheduno teneva per fermo che colà dentro fosse il corpo di Fenicia. Dapoi su la sera, essendo messer Lionato con i parenti vestiti di nero, accompagnarono la cassa a la chiesa, mostrando così il padre e la madre tanta estrema doglia, come se il vero corpo de la figliuola avessero a la sepoltura accompagnato. Il che moveva generalmente ciascuno a pietà, perchè, divolgata la cagione de la morte, tutti i messinesi tennero per certo che il cavaliero quella favola s’avesse finta. Fu adunque l’arca messa in terra con general pianto di tutta la città, e sovra l’arca fatto un deposito di pietre e quello con l’insegne dei Lionati dipinto. Messer Lionato ci fece scrivere sopra questo epitaffio:


Fenicia fu ’l mio nome, e indegnamente

a crudo cavalier fui maritata,

che poi, pentito ch’io gli fossi data,

femmi di grave error parer nocente.

Io, ch’era verginella ed innocente,

come mi vidi a torto sì macchiata,

prima volli morir ch’esser mostrata

a dito, oimè, per putta da la gente.

Nè fu bisogno ferro al mio morire;

chè ’l dolor fiero più che ’l ferro valse,

quando contra ragion m’udii schernire.

Morendo, Iddio pregai che l’opre false

al fin facesse al mondo discoprire,

poi ch’al mio sposo di mia fè non calse.

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