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Fatte le lagrimose essequie e parlandosi largamente in ogni luogo de la cagione de la morte di Fenicia, e varii ragionamenti su questo facendosi, e tutti mostrando di così pietoso accidente compassione come di cosa che fosse stata finta, il signor Timbreo cominciò a sentir grandissima doglia con un certo inchiavamento di core, che non sapeva che imaginarsi. A lui pareva pure che non devesse esser biasimato, avendo egli veduto salire su per la scala un uomo ed entrare in casa. Poi, meglio pensando a le cose vedute ed essendosi già lo sdegno in gran parte intepidito e la ragione aprendoli gli occhi, diceva fra sè che forse colui, che era in casa entrato, poteva essere o per altra donna o per rubare là su salito. Sovvenivagli poi che la casa di messer Lionato era grandissima, e che in quella parte ove l’uomo era asceso nessuno abitava, e che non poteva essere che, dormendo Fenicia in compagnia de le sorelle ne la camera di dietro a quella di suo padre e di sua madre, che fosse potuta venire a quella banda, convenendole passar per la camera del padre; di modo che, combattuto ed afflitto da’ suoi pensieri, non ritrovava riposo. Medesimamente il signor Girondo, udita la maniera de la morte di Fenicia e conoscendo chiaramente sè esser stato il manigoldo e omicida di quella, sì perchè fieramente era di lei acceso ed altresì per esser stato la vera cagione di tanto scandalo, si sentiva scoppiare di soverchia doglia il core, e quasi disperato fu per ficcarsi un pugnale nel petto due o tre volte. E non potendo nè mangiar nè dormire, stavasi come uno smemorato, anzi pure spiritato, e farneticando da ogn’ora non poteva pigliar nè requie nè riposo. A la fine, essendo fatto il settimo dì dei funerali di Fenicia e non li parendo più poter vivere se al signor Timbreo non scopriva la sceleratezza che fatta aveva, ne l’ora che ciascuno se n’andava a casa per desinare andò verso il palazzo del re ed incontrò esso signor Timbreo che da la corte a l’albergo suo se n’andava, al quale così il signor Girondo disse: – Signor Timbreo, egli non vi sia grave venir meco qui presso per un mio servigio. – Egli, che il signor Girondo da compagno amava, seco se n’andò di varie cose ragionando. Onde in pochi passi vennero a la chiesa ove il sepolcro di Fenicia era stato fatto. Quivi giunti, comandò il signor Girondo ai servidori che nessun di loro entrasse in chiesa, pregando il signor Timbreo che altrettanto comandasse ai suoi. Il che egli fece di subito. Entrarono dunque tutti dui soli in chiesa ne la quale non era persona, ed il signor Girondo, inviatosi a la cappella dove era la finta sepoltura, colà condusse il signor Timbreo. Come furono

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