< Pagina:Bandello - Novelle. 1, 1853.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

dentro, il signor Girondo, inginocchiatosi innanzi a la sepoltura e sfodrato un pugnale che a lato aveva, quello così ignudo diede in mano al signor Timbreo, che tutto pieno di meraviglia attendeva che cosa fosse questa, e ancora non s’era avvisto che sepoltura fosse quella innanzi a cui il suo compagno s’era inginocchiato. Poi, pieno di singhiozzi e di lagrime, così al signor Timbreo parlò: – Magnanimo e gentil cavaliero, avendoti io per mio giudicio infinitamente offeso, non sono venuto qui per chiederti perdono, perciò che il mio fallo è tale che non merita perdono. Però se mai pensi far cosa degna del tuo valore, se credi operar cavalierescamente, se desideri far opera accetta a Dio e grata al mondo, metti quel ferro che in mano hai, in questo scelerato e traditor petto e del mio vizioso ed abominevol sangue fa convenevol sacrificio a queste santissime ossa de l’innocente e sfortunata Fenicia, che in questo deposito fu questi dì seppellita, imperò che de la sua indegna ed immatura morte io maliziosamente sono stato la sola cagione. E se tu, più di me pietoso che io pur di me stesso non sono, questo mi negherai, io con queste mani quella vendetta di me prenderò che per me ultimamente si potrà. Ma se tu sarai quel vero e leal cavaliere che fin qui sei stato, che mai una minima ombra di macchia non volesti sofferire, di te e de la sventurata Fenicia insiememente prenderai debita vendetta. – Il signor Timbreo, avvistosi che quello era il deposito del corpo de la bella Fenicia e sentite le parole che il signor Girondo diceva, era quasi di se stesso fuori non sapendosi imaginare che cosa fosse questa, e pure, da non so che commosso, cominciò amaramente a lagrimare, pregando il signor Girondo che in piè si levasse e più chiaramente dicesse questa istoria; e con questo gettò via il pugnale lungi da sè. Poi tanto fece e disse che il signor Girondo, in piè levatosi, tuttavia piangendo, così gli rispose: – Tu dei saper, signor mio, che Fenicia ardentissimamente fu da me amata e di tal modo che, se io cento età campassi, mai più non spero trovar sostegno nè conforto, perciò che l’amor mio a la sgraziata fanciulla fu d’amarissima morte cagione. Chè, veggendo io che da lei mai non potei aver una buona guardatura nè un minimo cenno a’ miei desiri conforme, quando intesi che a te fu per moglie promessa, accecato dal mio sfrenato appetito, m’imaginai che se io ritrovava modo che tua moglie non divenisse, che di leggero chiedendola poi io al padre l’averei sposata. Nè potendomi imaginar altro compenso al mio ferventissimo amore e più innanzi non considerando, ordinai una trama la

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.