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è fatta e rimedio non ci è a far che fatta non sia. In questo vorrei bene che tu mi compiacessi e facessi quanto ti dirò. – Comanda, signor mio, – disse il signor Girondo, – chè il tutto senza eccezione farò. – Io vo’, – soggiunse il signor Timbreo, – che essendo da noi Fenicia stata a torto per bagascia incolpata, che noi quanto per tutti dui si potrà le restituiamo la fama e le rendiamo il debito onore, prima appo gli sconsolati suoi parenti, dapoi appo tutti i messinesi, perciò che, divolgatosi quanto io le feci dire, può di leggero tutta la città credere ch’ella fosse una putta. Altrimenti a me di continovo parrebbe aver dinanzi agli occhi l’adirata ombra di lei, che fieramente contra me vendetta a Dio sempre gridasse. – A questo piangendo il signor Girondo subito rispose: – A te, signore, appartiene il comandare ed a me l’ubidire. Io prima per amicizia ti era congiunto; ora per l’ingiuria che fatta ti ho, e che tu come troppo pietoso e leal cavaliere, a me perfido e villano così cortesemente perdoni, ti resto eternamente servidore e schiavo. – Dette queste parole, ambidui amaramente piangendo s’inginocchiarono innanzi a la sepoltura, e con le braccia in croce umilmente, l’uno de la sceleraggine fatta e l’altro de la troppa credulità, a Fenicia e a Dio domandarono perdono. Dapoi, rasciugati gli occhi, volle il signor Timbreo che a casa di messer Lionato il signor Girondo seco n’andasse. Andarono adunque di brigata a la casa e trovarono che messer Lionato, che insieme con alcuni suoi parenti aveva desinato, si levava da tavola; il quale, come udì che questi dui cavalieri gli volevano parlare, tutto pieno di meraviglia si fece loro incontro e disse che fossero i benvenuti. I dui cavalieri, come videro messer Lionato con la moglie vestiti di nero, per la crudel rimembranza de la morte di Fenicia cominciarono a piangere e a pena potevano parlare. Ora, fatto recar duo scanni e tutti postosi a sedere, dopo alcuni sospiri e singhiozzi il signore Timbreo, a la presenza di quanti quivi erano, narrò la dolorosa istoria cagione de l’acerbissima ed immatura morte, come credeva, di Fenicia, e insieme col signor Girondo si gettò a terra, chiedendo al padre e a la madre di lei di così fatta sceleratezza perdono. Messer Lionato di tenerezza e di gioia piangendo, ambidui amorevolmente abbracciando, perdonò loro ogni ingiuria, ringraziando Iddio che sua figliuola fosse conosciuta innocente. Il signor Timbreo, dopo molti ragionamenti, a messer Lionato rivolto gli disse: – Signor padre, poi che la mala sorte non ha voluto che io vi resti genero, come era mio sommo disio, vi prego quanto più posso astringo, che di me e de le cose mie vogliate

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