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abbaglia, nel muro che rispondeva sovra la strada, e tutto era di pietre di marmo maestrevolmente acconcie, dispose in modo una pietra che ella si poteva levare e mettere, ed altresì alcune che di dentro guardavano tanto sottilmente acconciò, che chi sapeva il fatto come stava, sarebbe di notte entrato ed uscito che uomo niente non se ne sarebbe avveduto già mai. Finita che fu l’opera, il re fece portarvi dentro tutti i suoi tesori, e la chiave teneva sempre a cintola, non la confidando a persona del mondo. L’architetto, o pentito di voler rubare i tesori o che che se ne fosse cagione, si stette che mai non si mise a cotal impresa. Ed indugiando di giorno in giorno, e tuttavia differendo di rubar il luogo, egli infermò gravissimamente. Onde, veggendo che l’opera dei medici non gli recava punto di conforto o di profitto e che di quella infermità gli conveniva morire, chiamati a sè dui suoi figliuoli che senza più aveva, a quelli puntalmente l’inganno de l’edificio e come i marmi si devessero levare e poi riporre con molte parole manifestò, e non molto dapoi se ne morì. I figliuoli, che erano giovini e desiderosi in poco di tempo e con poca fatica d’arricchire, morto il padre, non tardarono troppo, presi i loro ordigni, di metter in essecuzione il desiderio loro. Il perchè una notte andarono al luogo e, fatta esperienza de la cosa, molto facilmente le ingannevoli pietre smossero de l’ordine loro e dentro il ricco albergo se n’entrarono, involando quella quantità d’oro che più loro fu a grado. Racconcie poi le pietre come di prima stavano, carchi di preda a casa ritornarono. Aveva per costume il re assai spesso tutto solo entrar in quella ricca stanza e quivi per buono spazio di tempo diportarsi, pascendo la vista de la varietà de le medaglie de l’oro, de le monete, dei vasi d’oro maestrevolmente fabricati e de la copia de le gemme che quivi dentro erano, tenendosi esser beato in terra e non aver re alcuno che tanto oro possedesse. Soleva poi, quando ambasciatori d’altri prencipi a casa gli venivano o vi capitavano personaggi alcuni di grado, la prima cosa che faceva, condurgli al predetto luogo e mostrar loro i suoi grandissimi tesori. Era certamente cosa di meraviglioso piacere a contemplar la copia grandissima di tanto oro quanto quivi in mille modi lavorato dagli orefici si vedeva, perciò che v’erano statue di puro oro, d’alcuni dei re passati rappresentanti l’effigie, con le corone d’oro carche de le più ricche e preziose perle e gemme che l’Oriente mandi. V’erano poi tutti i dèi formati in quelle figure ne le quali per paura si trasformarono quando per la tema che ebbero dei giganti, come fingono gli antichi, se

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