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ne fuggirono in Egitto, e chi si nascose sotto la forma de la simia, chi del cane, chi de la cicogna, chi del becco, chi del cocodrillo, chi del gatto e chi degli altri animali. V’era Anubi, dio dagli egizii molto onorato, con capo di cane. V’era Iside e tutta la favola sua, quando di donna fu trasformata in vacca e, poi che Mercurio ebbe ucciso Argo, fu per comandamento di Giove data per dea, come scrive Luciano, agli egizii a ciò che gonfiasse il Nilo ed inacquasse il paese, facesse soffiar i venti ed avesse in protezione i naviganti. Ma se io vorrò dirvi tutte le imagini dei dèi che in quel luogo erano, io averò troppo che fare. Insomma, quel tesoro era il maggiore che si sappia esser stato messo insieme in alcun tempo già mai. Ora, dopo che i dui fratelli ebbero fatto il furto, il re secondo che era consueto entrò colà dentro, ed a caso aprendo alcuni vasi che sapeva esser colmi d’oro, quelli ritrovò scemi, e restò pieno di grandissima meraviglia e di stupore, con ciò sia che vestigio alcuno non si vedeva che uomo del mondo fosse quivi dentro entrato. E perchè costume suo era suggellar tutte le serrature che a la porta erano, non le avendo trovate guaste, non sapeva che imaginarsi. Ma poi che due e tre volte i fratelli ci tornarono, sempre scemando i vasi, chiaramente il re conobbe che erano ladroni che il rubavano, ed entrò in openione che i malfattori avessero avuto modo di far fare chiavi contrafatte e falsi suggelli, ed a quel modo entrassero dentro, a man salva pigliando e rubando ciò che loro più era in grado. Onde, trovato un fabro, che era uomo d’acutissimo ingegno, fece fabricar un laccio tanto maestrevolmente che era cosa molto meravigliosa a vedere, e tanto forte che non solamente un uomo averebbe affermato, ma anco un bue; nè senza la chiave che il re appo sè teneva era possibile snodar gli intricati e fortissimi nodi. Il laccio fece il re in modo tra i vasi disporre, che necessario era che subito che uno lo toccava rimanesse alora alora prigione. Egli poi ogni dì se ne veniva a veder se il ladro era ne la rete incappato. I fratelli, che nulla de l’ordito inganno sapevano, una notte, secondo il lor solito levate le ingannevoli pietre, dentro entrarono, e credendo a salvamano involare, uno di loro diede d’un piè nel laccio ed incontinente rimase prigione, trovandosi le gambe indissolubilmente avvinchiate. E quanto più si scuoteva per uscire del laccio egli tanto più s’annodava. Voleva l’altro fratello porgergli aita e discioglierlo, ma non poteva, e ogni volta che s’ingegnava l’inestricabile catena disciorre vie più l’annodava e stringeva i lacci. Il perchè colui che prigione si trovava veggendo che a la

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