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la bocca de la grotta conciò che fiera alcuna non ci poteva entrare. Era la grotta molto spaziosa e tutta ne l’arido fondo cavata. Quivi di foglie di faggio s’acconciarono duo lettucci a la meglio che si puotè. E così se ne stettero molti dì, vivendo di bestie salvagge che il servidore con una balestra che recata aveva ammazzava, ed assai sovente di radici d’erbe, di frutti selvaggi, di ghiande e d’altre simili cose, e la sete si levavano con l’acqua de la fontana, cosa che al cavaliero non deveva dar noia non bevendo egli vino. In questa sì povera e selvestre vita se ne stava don Diego ed altro mai non faceva che pianger la durezza e crudeltà de la sua donna, e come una fiera tutto il dì per quei borroni solo se n’andava, forse cercando qualch’orso che la vita gli levasse. Il servidore attendeva quanto più poteva a pigliar de le salvaggine, e come comodamente gli veniva l’occasione, essortava il suo padrone a lasciar questa vita bestiale e a casa tornarsene, e trattar Ginevra la bionda da sciocca come ella era, che non conosceva il suo bene e non meritava che sì nobil e ricco cavaliero l’amasse. Come si veniva su questi ragionamenti, don Diego non poteva soferire che mal di lei si dicesse e comandava al servidore che d’altro parlasse, e a pianger e sospirar si dava, di modo che in breve perduto il natural colore e divenendo tuttavia più macilente e magro, più a uomo selvaggio che ad altro rassembrava. L’abito anco bigio con quel cappuccino di dietro che portava, la barba che gli cresceva ed i capelli sbaruffati e gli occhi che ne la testa più ognora gli entravano, l’avevano di modo trasformato che non ci era rimasa nessuna de le sue solite fattezze. La madre non veggendo la matina don Diego venir a desinare domandò di lui. Il servidore, a cui il cavaliero aveva data la lettera per dare a Ginevra la bionda, disse a la madre com’egli era cavalcato con un sol servidore e che fra spazio di venti dì aveva detto che tornarebbe. A questo la buona madre s’acquetò. Passati i quattro dì dopo il partire del cavaliero, il servidore portò la lettera a Ginevra la bionda, e la ritrovò a punto in sala con la madre, e fatta la debita riverenza le diede in mano la lettera. Come ella conobbe che era lettera di don Diego di subito la gettò in terra e tutta cangiata di colore e piena d’ira disse: – Io gli ho pur fatto intendere che non voglio sue lettere nè ambasciate. – La madre ridendo: – Questa per certo è una gran còlera, – disse, – recami qua la lettera, ed io la leggerò. – Uno di quei di casa, presa la lettera, la porse a la padrona, la quale, aprendola, trovò che diceva in questo modo: «Poi che, signora mia, la mia innocenzia appo voi

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