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leggi, messer Giason Maino, nostro gentiluomo di Milano. Egli ha publicamente letto negli Studii primarii d’Italia e dei duci di Milano è stato spesso oratore, e di tutte le sue imprese sempre onoratamente è riuscito come colui che nel vero possede molte ottime parti. Ora mandando il duca Lodovico Sforza, duca alora di Bari, madama Bianca, figliuola del duca Galeazzo suo fratello, a marito a Massimigliano eletto imperadore, volle che messer Giasone con molti altri signori e gentiluomini l’accompagnasse. Avvenne che essendo nel lago di Como ebbero una fortuna grandissima, di sorte che furono per annegarsi. Tutti quei signori e cavalieri, mentre che il periglio durò, stavano di malissima voglia per tèma de la morte. L’imperadrice con l’altre dame piangevano e gridavano mercè a Dio. I barcaroli erano mezzi perduti, di modo che non si vedeva altro che imagini di morte. Solamente messer Giasone era quello che di tutti si rideva, e nè più nè meno se ne stava come se il lago fosse stato tranquillissimo. Fecero pur tanto i barcaruoli che, essendo un poco cessato il vento, si ridussero a Bellano una parte, ed alcune altre barche furono astrette andare a Sorgo, terra quasi nel capo del lago. L’imperadrice smontò a Bellano, ed avendo ripigliato animo e ragionandosi del pericolo grandissimo che avevano corso, domandò a messer Giasone come esser potesse che egli si fosse di così perigliosa fortuna beffato senza mai mostrar segno di paura. – Serenissima madama, – rispose egli sorridendo, – io era sicuro di non perire, perciò che io so che il cuoco di Cristo non è imbriaco, che quella carne che si deve arrostire egli mettesse a lesso. – Risero tutti de la faceta risposta, con ciò sia che assai chiaro fosse che egli non era molto de le donne vago. Ma a me giova di credere che egli, che era prudentissimo, sapesse con viso allegro la paura dissimulare, e che per far rider l’imperadrice desse così fatta risposta. – E variamente de le dette novellette ragionandosi, venne l’ora che il cardinale montò a cavallo, e tutti l’andarono ad accompagnare.


NOVELLA XXXI
Il Bandello a l’illustrissimo
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