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dei marrani, assai in questo regno si fermarono. Per questo entrò nel capo a fra Francesco di far ogni opera a ciò che i il re Ferrando facesse il medesimo. Ma il re Ferrando che sapeva che la chiesa tolera che nei luoghi de’ cristiani possino i giudei abitare, e ai marrani aveva fatto intendere che se poteva trovare che giudaizassero che gli castigarebbe, non faceva stima de le parole del frate. Onde egli non si veggendo stimare, cominciò rabbiosamente a predicar contra i giudei e quasi a sollevargli i popoli contra, profetizzando contra il re e contra i popoli. Fecelo un giorno a sè chiamare il re Ferrando, e volle da lui intendere qual cagione il moveva perchè così accerbamente contra i giudei predicasse. Egli non seppe altro dire se non che essendo di quella perfida generazione che crocifisse il nostro Redentore, che meritavano tutti esser dal consorzio umano cacciati e dispersi in luoghi inabitabili, e minacciava da parte di Dio il re, se ad imitazione di suo cugino non gli sterminava. Il re non veggendo altro fondamento nel frate non gli diede orecchie, quel conto di lui tenendo ch’egli averebbe tenuto d’un circolatore o ceretano. Il che l’ambizioso e superbo frate non poteva sofferire; e più di giorno in giorno crescendo in lui questo umore, si deliberò tra sè con nuova arte indurre il re a cacciar i giudei. Egli partì da Napoli e andò a Taranto, ove altre volte aveva molto graziosamente predicato. Quivi segretissimamente fabricata una lastra di metallo, dentro a quella da uno dei suoi compagni, uomo assai dottrinato ma de la vita simile a fra Francesco, fece intagliare alcune parole, le quali parevano esser in quella impresse di mano di san Cataldo, santo in quella contrada di grandissima riverenza. Ebbe poi modo di seppellire essa lastra non troppo fuor di Taranto, in una chiesetta campestre che era gran tempo innanzi intitolata a san Cataldo, e quivi lasciolla sepolta per tre anni continovi, nel qual tempo egli or qua or là andava per il regno, predicando tuttavia contra i giudei, dicendo sempre qualche cosa. Passati i tre anni ritornò a Taranto, e per via d’una buona somma di danari, ancora che andasse in zoccoli, corruppe un povero prete di cui era la chiesa ove la lastra era sepolta, e quello ammaestrò di quanto intendeva che facesse. Il povero prete che non traeva di profitto diece lire di rendita in tutto l’anno da la chiesa, avendo avuto di molti ducati da messer lo frate e sperando di meglio, promise largamente di essequire quanto egli aveva ordinato. Onde, cavata la lastra, se ne venne a Napoli, ed avuta la comodità di parlare al re Ferrando, gli disse: – Sacro re, io sono un povero

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