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San Domenico, a la cui sepoltura fu attaccato questo sonetto, fatto da non so chi:
Tu che qui passi e ’l bel sepolcro miri,
ferma li piedi e leggi il mio tenore,
chè di bellezza è qui sepolto il fiore,
cagion a molti d’aspri e fier martìri.
Infiniti per lei gettó i sospiri
gran tempo un cavaliero, ed ella fòre
di speme sempre il tenne e sol dolore
gli die’ per premio a’ tanti suoi desiri.
Egli, sprezzato, altrove il suo pensiero
rivolse, e quella a lui piegossi alora
ch’era a lui stata sì ritrosa e dura.
Ma piegar non potendo il cavaliero,
morir elesse e uscì di vita fuora,
sì fiera fu la doglia oltra misura.
Infinite volte s’è veduto una pronta e arguta e talor faceta risposta aver al suo dicitore apportato grandissimo profitto e sovente una grave lite aver resa ridicola. Di questo si parlava non è molto tra alcuni gentiluomini ove io mi trovai. Era quivi il signor Paolo Battista Fregoso, giovine valoroso e gentiluomo di monsignor d’Orliens, che poco avanti era venuto da la corte del re cristianissimo; il quale dopo il ragionamento che si faceva, a proposito di quanto detto s’era, narrò una novelletta, di nuovo parte a Poittieres e parte a Parigi accaduta, che agli ascoltanti molto piacque. Il perchè io quella secondo il mio consueto scrissi. Sovvenutomi poi del tempo che a Milano insieme eravamo, e quanto spesso voi le cose mie così in verso come in prosa leggevate e volentieri di molte prendevate copia, ho voluto che questa ovunque voi sarete col nome vostro in fronte vi venga a ritrovare, e vi faccia certo che io sono quel