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— Provvedono forse ai casi loro per quest’inverno, che sarà freddo laggiù.

— T’appiccherà il fuoco messer Galeotto, statene certi; e di qui ci vogliamo goder la fiammata; —

Questi i ragionari sul parapetto. Intanto giungeva la notte, senz’altro di nuovo per tutto quel dì, tranne qualche colpo di balestra scambiato sul lido tra le vedette dei Finarini, appostati sotto Castelfranco, e alcuni più audaci scorridori nemici.

La notte fu buia e tempestosa; soffiava il libeccio e il mare frangeva rumoroso alla spiaggia. Tuttavia, dall’alto dei bastioni si udiva un continuo rumore nel campo, un alternarsi di voci, un cozzar di ferri, un cigolar di ruote, ed anche un picchiar di martelli e di badili, che indicavano una strana assiduità di lavoro.

Messere Antonio del Carretto, che con sessanta animosi ed esperti soldati difendeva il castello, venuto nel cuor della notte, com’era debito di buon capitano, a fare la sua passeggiata lunghesso le mura, non dubitò di attribuire quello strepito di carri allo avanzarsi delle macchine da fuoco, che il giorno vegnente avrebbero preso a fulminare la ròcca. Quanto ai badili e ai martelli, pensò che continuassero il lavoro del giorno addietro, e non vi badò più che tanto.

— A domani, dunque! — diss’egli. — L’assalto è imminente. —

E in questa credenza, mandò un soldato ad avvisare il cugino Galeotto, che i Genovesi portavano innanzi le artiglierie.

Venne finalmente l’alba, quantunque grigia, piagnolosa e svogliata. Ma

i suoi incerti barlumi non

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