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CAPITOLO VII.
Come Giacomo Pico parlasse a madonna Nicolosina
e qual risposta ne avesse.
Riposiamoci un tratto dai combattimenti e dai pensieri di guerra. Il
castello Gavone, lontano ancora da queste gravi molestie, c’invita.
Lassù, in una camera alta del torrione dell’Alfiere (che guarda alla
marina da ponente, come il torrione della Madonna a levante, mentre
gli altri due, del Marchese e della Polvere, guardano, nello stesso
ordine, dalla parte di tramontana) c’è il nostro Giacomo Pico, seduto
la maggior parte del giorno su d’una scranna a bracciuoli, nella
strombatura d’una smilza finestra, dond’egli beve la tiepida luce del
sole.
La perdita del sangue lo ha infiacchito, lo ha reso bianco in volto come un cencio lavato; ma infine, quel che gli ha tolto di forza e di fierezza, gli ha aggiunto, in una certa misura, di leggiadria. Dico in una certa misura, intendiamoci; che non aveste a pigliarlo in iscambio d’un fior di bellezza, nato lì per lì e sbocciato sotto la penna dello scrittore, per comodità delle sue invenzioni. Vo’ dire soltanto che il ruvido giovinotto s’era in quella occasione raggentilito di molto e
che aveva fatto una ciera, da pigliarci