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— Cavaliere, tra pochi momenti si parte. Ma se io ora vi chiedessi un sacrifizio?
— Quale? — dimandò ansiosamente il Cascherano.
— Ho mestieri di un prode cavaliero, — soggiunse il marchese, — che corra speditamente infino ad Asti, e con eloquente parola induca il balìvo di Tresnay a venire colle sue genti in aiuto del Finaro, come mi fu promesso dal buon re Carlo di Francia e ancora testè dall’illustrissimo signor duca di Orleans, giunto a mala pena di qua dalle Alpi. Per lo passato, in simiglianti negozi, mi fu utilissima l’opera diligente e sollecita di Giacomo Pico. Lui ferito e costretto al riposo, adoperai il nostro bravo Sangonetto; ma oramai colla buona volontà di lui ho fatto già troppo a fidanza....
— Magnifico messere, — disse allora il conte d’Osasco, — se è cosa che vi preme....
— Assaissimo; — interruppe il marchese; — e subito, se ci amate, dovrete salire in arcione. —
Madonna Nicolosina respirò, vedendo l’atto di consentimento del giovine. Giacomo Pico, in quella vece, si morse le labbra. Nel tardo mutar di consiglio del marchese Galeotto egli scorgeva la mano di Nicolosina e i sospetti che certo l’avevano guidata a chiedere l’allontanamento del conte.
— Non ho io forse una maschera al volto? — diss’egli tra sè. — E deve ella credere che io mi strugga d’amore e di rabbia per lei? —
La deliberazione improvvisa del marchese Galeotto non poteva piacere nemmanco al nostro Tommaso, che vedeva andarsene in fumo tutte le sue ambizioni. Imperocchè egli non era sincero col Bardineto, quando gli
diceva di dover tornare ciliegia.