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— Sentimi, Gilda; e non merita essa il mio sdegno? Non è sua la colpa di tutto ciò che è avvenuto? Se ella non mi avesse ammaliato, lusingato, tirato a sè con quelle arti sottili che le sue pari conoscono, avrei potuto io mai levar gli occhi e le speranze vane sino a lei, sino alla figlia del marchese mio signore?
— Amore uguaglia! — disse con accento di amarezza la Gilda.
— Sì, quando si ama; e io non l’amavo. Forse potevo io rivolgermi a lei, avendo dato a un’altra donna il mio cuore? Ed eri tu quella. Ne dubiti ancora? Ma pensaci, o Gilda; dimentica un’ora di follìa; ritorna colla mente al passato. Perchè mi hai amato, tu, se non perchè sentivi in me un affetto che rispondeva al tuo?
— Ah, l’ho creduto! — esclamò la fanciulla, coprendosi il volto colle palme.
— E avevi ragione; e così fu; — soggiunse il Bardineto. — Ma cotesto non mettea conto alla maliarda. Voleva esser sola qui, regnar sola. Un uomo giovine e prode viveva nella corte di suo padre; la vedeva, le parlava ogni giorno, e non si curava altrimenti di lei? E i begli occhi di una ancella avevano avuto più potere de’ suoi? Un reo capriccio le nacque allora nell’anima, di sviare quell’uomo, di ferir questa donna nella sua onesta alterezza. Imperocchè tutti, in qualsivoglia stato cresciuti, possiamo averci la nostra; e la tua, o fanciulla, è giusta, è sacra, come l’alterezza d’una figlia di re. Sei bella; è questa la tua nobiltà. I tuoi grandi occhi neri son gemme che tutto l’oro del mondo non basterebbe a comprare; i tuoi capegli
corvini, morbidi