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— Non ancora; lo porterò io, quando sarà rosolato per bene. Va intanto lassù, moccicone, e vedi se non hanno mestieri di te. —
Cuoceva assai più del suo pollo, l’ostiere. Natura l’avea fatto curioso; amore della sua terra lo facea sospettoso per giunta. E qui cade in acconcio un cenno storico, il più breve che per me si potrà, donde il lettore benevolo avrà qualche lume intorno alla diffidenza di mastro Bernardo.
Quel tratto di paese, che dopo il 1100 formò il marchesato del Finaro, era compreso per lo innanzi nel marchesato di Savona, e facea parte del patrimonio di quel famoso Abramo, che la leggenda disse nato d’ignoti pellegrini e rapitore d’una figliuola di Ottone I, ma che la storia chiarisce figlio d’un conte Guglielmo, venuto di Francia, con trecento lance, in aiuto al marchese Guido di Spoleto.
Di questo Aleramo, che ben potè avere ottenuta in moglie l’Adelasia della leggenda, poichè egli appare esser stato carissimo ad Ottone I, e da lui fatto signore di largo dominio, nacquero i marchesi di Monferrato e, ramo minore, ma non manco rigoglioso ed illustre, i signori Del Carretto, marchesi di Savona e d’altre terre sull’Appennino. Venuto a morte nel 1268 Giacomo Del Carretto, sesto della discendenza d’Aleramo, l’eredità sua andò spartita in tre figli, e l’ultimo d’essi, Antonio, ebbe per suo terziere, e trasmise ai suoi successori, il Finaro.
Congiunti d’antico parentado ai marchesi di Monferrato, prossimi consanguinei dei marchesi di Millesimo, di Ponzone, di Cortemiglia e via via, di tutti i borghi delle Langhe, ultimi rimasti sulla Riviera