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Indi, mentre il Tanaglino, tutto raumiliato, lavorava a slegarlo, soggiunse:

— Che te ne pare? Son io ancora quel villano ribaldo di poco fa?

— Sarete un pezzo grosso, — borbottò il balestriere stizzito, — e a noi due spetterebbe la taglia.

— Eccoti la taglia, furfante! — esclamò il Picchiasodo, appoggiandogli una pedata.

— Ne valgo cento, di queste; — aggiunse il Maso, gongolando dalla gioia; — fàtti dare il tuo giusto. —

Il Tanaglino, come i lettori avranno di leggieri argomentato, n’ebbe abbastanza di una e non aspettò le novantanove che il Maso gli consigliava di prendere.

— E così, ragazzo mio, — disse il Campora, come furono soli, — eccoti fuori dal servizio di mastro Bernardo....

— E di messere Antonello da Montefalco, ai servigi del quale sono accomodato come paggio.

— Di quel traditore, che in principio della guerra era con noi? Grama casacca, quella che dentro l’anno si volta! Buon per te che non lo servirai più. Vuoi restare con me?

— Messere, — rispose maliziosamente il Maso, — questo sarebbe un voltar casacca ancor io.

— Oh, non dico già come paggio; sei prigioniero, e resti al mio servizio fino al compimento di questa impresa maledetta. È il meno ch’io possa fare per te. Avevo fame e tu m’hai portato un pollo; avevo sete e non m’hai fatto aspettare un fiasco di vino. Ora dimmi, hai fame tu? hai sete?

— Eh, non fo per dire.... Stamane siam venuti ad assalirvi prima di

far colazione.

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