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— Bravi! mi piacete; — replicò il Picchiasodo. — La libertà è un’ottima cosa, e Genova ve la darà; Ne ha da vendere; figuratevi, l’ha messa per insegna fin sulle porte delle prigioni, con due grifoni per custodirla. Ma bevete, compar Sangonetto; buon vino, favola lunga, dice il proverbio. Voi dunque, congiurate; e in quanti?

— Oh, in parecchi; e il popolo, stanco di questa guerra che non lo risguarda, di queste privazioni e di questi pericoli che non serviranno ad altro fuorchè a ribadirgli le catene ai polsi, è quasi tutto dalla nostra.

— Dalla vostra! di chi?

— Di me, vi ho detto; di Antonio Sturlino, vi posso aggiungere, che ha molta autorità in paese e che l’altro giorno dopo aver preso a dirla col marchese, è stato, per ira di popolo, liberato dalle mani dei birri che lo menavano in carcere; di Bernardo Marchelli e di Giorgio Battaglia, caporali di schiera; di Antonio Giudice e di Nicolò Valle, uomini di legge; di Vincenzo Campi e di Nicolò Cavazzola, cittadini che sono tra i più ricchi e i più ragguardevoli della terra; di Giacomo Pico finalmente....

— Ah, ah! Pico, l’avversario di messer Pietro Fregoso all’osteria dell’Altino?

— Lui, sicuro. Se ci son io mi pare....

— Ah, voi, si capisce; voi siete un personaggio delle storie antiche e congiurate per la libertà. Ma lui, il braccio destro del marchese, a quanto dicono, lui, che in queste fazioni ha sempre combattuto come un eroe....

— Sì, questo è nell’indole sua, ma Giacomo Pico

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