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— Non lo accetterà; — proseguiva il Picchiasodo. — Tanto e tanto si verrà a capo della vostra resistenza, o, per dir meglio, della resistenza del marchese. Ci ho il mio disegno anch’io e messer Pietro lo approva. Il vostro è più spicciativo, non nego; ma abbiatelo per fermo, io conosco il capitano generale come il fondo delle mie tasche; egli non vi venderà in compenso la vita di nessuno.
— Ma... — si provò a dire il Sangonetto.
— Ma infine, o non siete buoni voi altri, a far le vostre vendette? Voi pratici dei luoghi; voi più al caso d’ogni altro di cavar profitto da un’ora di trambusto; noi non ci avremo nulla a vedere. Del resto, sarà buio, a quell’ora. Ma intendiamoci, non parlate di ciò a messer Pietro; e’ sarebbe capace di non volerne sapere, e allora, addio fave; piuttosto, si potrebbe domandare un duello, e messer Pietro, che ama questi combattimenti come un tordo la ginepra, ve lo consentirebbe senza fallo. Proponete questo; è il partito migliore.
— Lo proporrò; — disse il Sangonetto, chinando il capo in atto di assenso.
— Andiamo dunque; — soggiunse il Campora, — Messer Pietro sentirà e risolverà secondo il suo savio consiglio. C’intenderemo, non dubitate; io l’ho tanto per negozio conchiuso, che piglio per via un mio vecchio compare, Giovanni di Trezzo, il più arrischiato capitano di tutto l’esercito, a cui simili imprese vanno a sangue, come ai tordi... Ah scusate, il paragone l’ho adoperato poc’anzi; dirò invece: come ad Anselmo Campora il vostro vino di Calice. —
Il Maso non volle saperne altro, e mentre i due si