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— Sotto! sotto! pigliatelo vivo! — gridò Giovanni di Trezzo. — Vo’ farlo impiccare per la gola, questo furfante, che s’ostina a resistere dove comanda la repubblica genovese.
— No, perdio, non comanda la repubblica! — rispose fieramente mastro Bernardo. — Comando io, qui; difendo due donne dai vostri tentativi ribaldi. —
E seguitava a menar colpi a tondo, per tenere in rispetto gli assalitori. La lotta, per altro, era troppo disuguale e non poteva durare più molto.
Madonna Nicolosina si fece innanzi e trattenne il braccio del suo furibondo campione.
— Smettete, vi prego; — diss’ella, — Colui che ha parlato è di sicuro il comandante di questi soldati. Egli non vorrà certo recare offesa a due donne.
— Ben dite, mia nobil signora; — fu pronto a rispondere Don Giovanni di Trezzo. — Dove noi comandiamo, degli insultatori di donne si sogliono caricar le bombarde.
— Ah, sì? Vediamo dunque la prova! — entrò a dire mastro Bernardo. — Cercate pel castello il vostro amico e aiutante Tommaso Sangonetto, che in qualche buco si sarà pure ficcato, e fategli fare questa piacevolezza, che l’ha meritata davvero.
— Che dici tu ora?
— Dico, messere, che mentre voi facevate il vostro mestier di soldato a pianterreno, il vostro aiutante è salito quassù a ruba di donne, e già aveva ardito di mettere le sue sconcie mani sulla figliuola del nostro marchese, sulla illustrissima contessa di Osasco.
— Se la cosa sta come tu la racconti, — disse Giovanni di Trezzo, — sarà
fatta giustizia.