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— Chi diamine sarà costui? — andava almanaccando tra sè il Bardineto. — Non genovese, perciò non nemico; capitano di ventura nemmanco. Fosse uno del parentado! Ma io li conosco tutti, i signori della lega, e questi mi giunge affatto nuovo alla vista.
Intanto, mastro Bernardo s’era fatto innanzi col suo fiaschetto di vin prelibato e profferiva ai due viaggiatori il bicchier della staffa.
— Grazie! — disse il più giovine accettando il bicchiere e rendendolo dopo avervi a mala pena intinte le labbra.
Non così il Picchiasodo, che, recatosi il bicchiere all’altezza degli occhi, ne contemplò amorosamente il liquido topazio, indi lo accostò alle labbra, ne assaporò un sorso, tornò da capo a guardare, mentre, alla maniera de’ buongustai, batteva la lingua contro il palato, e finalmente, arrovesciando gli occhi in segno di beatitudine, mandò giù l’abbeverato e succiò l’orlo del bicchiere per giunta.
— Se tu cominciavi da questo, — diss’egli all’oste nell’atto di restituire il bicchiere, — non si andava più via dall’Altino.
— Eh eh! — rispose mastro Bernardo ridendo. — Per altro, a messer lo conte non è piaciuto.
— A me? — dimandò messer Pietro, vedendo che l’oste accennava a lui. — Anzi, gli è nettare, non vino; ma con quest’amicone non bisogna far troppo a fidanza.
— Con vostra licenza, messere, berrò io le vostre bellezze. Alla salute degli sposi.
E mastro Bernardo, contento di metter le labbra al bicchiere del suo ospite, tracannò il rimanente d’un fiato.