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L’altro ricordò allora le supposizioni di mastro Bernardo, e un sorriso venne a sfiorargli le labbra; ma fu pronto a reprimerlo. Non era più un pazzo, bensì un insolente, colui che lo aveva fermato per via e lo interrogava in tal guisa.
— Via, per l’andata, poteva correre; pel ritorno, non già! — rispose egli, facendosi grave.
Indi, rivolto a Giacomo Pico, gli parlò asciuttamente così:
— Messere, io fo nozze quando mi torna, e non dò ragguagli per via al primo che capita.
— Avete fatto il conto senza di me! — soggiunse Giacomo Pico, digrignando i denti, e facendo l’atto di afferrare da capo le redini.
— Giù quelle mani! — tuonò messer Pietro, in quella che facea dare indietro due passi al suo palafreno. — E spulezzami tosto, o ch’io lascio al mio cavallo di tritarti come paglia, villano! —
Giacomo Pico, che il pronto inalberarsi del cavallo avea fatto desistere dal suo tentativo, si morse le labbra all’udire quelle superbe parole, ma non diede già indietro d’un passo. Incrociò in quella vece le braccia sul petto; rispose con una crollata di spalle al Sangonetto che gli raccomandava di non far ragazzate e di pigliare dal consiglio d’un nemico quel che c’era di buono; indi, misurando ad una ad una le frasi, che gli uscivan sibilando dalle labbra contratte, così rimbeccò il suo avversario:
— Non son villano, e le opere mie, in attesa di altre prove, potranno chiarircene largamente. Voi, a cavallo, messere, potete sbarattarci
d’un salto e darvi alla fuga; lo vedo, e lo temo. Ma dove sarebbe al-