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— Qui presso, nei greti della fiumana.
— Ottimamente; insegnate la strada. —
E così dicendo, messer Pietro, sempre ilare e disposto alla celia, spronò il cavallo per tener dietro a Giacomo Pico. Ma la faccenda non garbava punto al Picchiasodo, a cui era balenato un pensiero più vasto.
— Non già! — entrò egli a dire sollecito. — Con vostra licenza, messer Pietro, padron mio colendissime, abborro l’acqua, e ricordo in buon punto che siamo lontani appena un cento di passi dall’insegna dell’Altino. Questi degni messeri lo sapranno benissimo, che sono del paese; c’è buona l’accoglienza....
— E meglio il vino! — rincalzò, chiudendo la frase, il Sangonetto.
— Ah, bravo! — ripigliò il Picchiasodo. — Veniteci in aiuto anche voi, messere dell’archibugio. Siamo dunque intesi; si va a sbrigar la faccenda all’Altino. L’aia è piana e lucente come uno specchio, e sul battuto c’è posto pel giuoco di quattro lame. Che ve ne pare? Voi certo avete pratica del luogo. Non ci si è abbastanza liberi in quattro? —
Tommaso Sangonetto lo guardò con aria melensa. La proposta di quel vecchio barbone, che ci avea un paio di spalle e un torace da fare alle forze con Ercole, non gli andava a fagiuolo. Chinò la testa in atto di chi vuol dire e non dire; ma dentro di sè fece atto di contrizione per la sua lingua, che era stata un po’ troppo latina.
— Andiamo dunque laggiù! — disse il Bardineto, avviandosi primo.
I due cavalieri incontanente lo seguirono. Tommaso, quantunque di mala
voglia, si messe al suo fianco.