< Pagina:Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

— 190 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu{{padleft:198|3|0]]sogno di saper nulla. Parlavo così, per chiasso, e per non mostrarci troppo accigliati, quasi imbronciati, ai naturali del paese. Ma eccone tre, che non dovrebbero essere indigeni. Tre bei moscardini, in fede mia! —

Diedi una sbirciata ancor io, e vidi poco più su dai cavalli, in atto di tirarsi da banda, i miei tre famosi satelliti; li vidi in tempo per rizzar muso quanto ce ne voleva al loro bisogno.

— Quei tre vanno al Roccolo; — dissi a Filippo; — perciò li vedi in istrada a quest’ora. Son pronipoti dei Proci dell’Odissea. Ulisse è alle acque di San Pellegrino, ed essi non lasciano un’ora di pace a Penelope. Tu intanto non potevi esser più felice di così, Filippo mio caro; sei giunto appena, non hai ancora veduta la prima casa di Corsenna, e ti vien sotto la tribù dei seccatori, per cui ti ho pregato di venirmi a dare man forte. Vedili là, che passano il ponte.

— Ed è quello che non vorrebbero lasciar passare a te, non è vero?

— Se stèsse a loro, certamente. Ma non han barba da impedirmelo.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.