< Pagina:Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

— 264 —

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Barrili - Galatea, Milano, Treves, 1896.djvu{{padleft:272|3|0]]avrei immaginato mai, e che son lieto di riconoscere.

Si domanda il bis; ma Enrico Dal Ciotto è stando, e non lo concede.

— Si provi Lei; — mi dice la signorina Wilson, che è seduta ai primi posti, e che non dubita di rivolgermi il discorso, quando c’è gente.

— Volentieri; — le rispondo; — per farmi battere. —

E m’avanzo sul tavolato, per calzare il guanto o metter la maschera.

— Animo! — mi bisbiglia Filippo, mentre mi aiuta fraternamente nell’opera. — Qui si parrà la tua nobilitate. —

Lo spero bene. È chiaro come il sole, che ne buscherò parecchie, anzi molte; ma non farò la figura di Enrico Dal Ciotto, e ne restituirò più d’una.

Incominciamo guardinghi, studiandoci l’un l’altro, facendo di passata un po’ di fioriture accademiche. Filippo Ferri ama i principii a tavola; li ama ancora sul tavolato. S’impegna un giuoco serrato di finte, di parate, di at-

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.