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A me, tra le risate universali, tocca un bavaglino; e dopo una diecina di polizzini bianchi, un altro arnese da bimbi, una cuffina. Son destinato; me lo dicono tutti, ridendo alle mie spalle: ma io non mi spavento per così poco, e inalbero arditamente i miei piccoli trofei. Enrico Dal Ciotto riesce finalmente a vendicarsi della mala fortuna, guadagnando una sveglia, niente di meno. Beato lui! gli servirà per destarsi di buon mattino, il giorno che dovrà far le valigie, che Iddio l’accompagni.

La fiera di beneficenza ci porta via tre ore buone. Oramai non ne possiamo più. Siamo in moto dalle nove del mattino; sentiamo il bisogno di sedere, e non per pochi minuti. Inoltre, lo spuntino del mezzodì non ha fatto altro che aguzzar l’appetito. Gli “artisti„ lasciano il teatro delle loro glorie alla vigilanza del segretario comunale, e vanno a desinare all’osteria, piuttosto male, ma non senza buon condimento d’allegrezza. Poi, tant’è, vogliono dare un’ultima occhiata alla fiera, contendersi gli ultimi doni, sentire le ultime suonate della banda di Dusiana. Tutto è ven-

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