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Son venuto io, solo soletto, per il viale dei pioppi; son venuto a rinchiudermi nella mia stanza, ed ho scritto questa dolorosissima istoria. Molto male, perchè la testa mi arde ed ho perso il lume degli occhi.

— Che cos’hai? — mi ha detto Filippo, quando è rientrato per l’ora di desinare. — Sempre stanco?

— Stanchissimo. Ho voluto escire a prender aria, e non m’ha fatto bene.

— Ripòsati, che diamine! — conchiude il signor Ferri, col suo piglio autorevole.

La sera, si capisce, non esco di casa; lo lascio andar solo, dove gli pare. Ma non vado io a riposarmi, tutt’altro. Ho un diavolo per occhio; e non so quale dei due mi faccia nascere un’idea. Ma certo è luminosa, e l’afferro con giubilo, se non è piuttosto da dire ch’ella s’impadronisce di me. Scrivo, scrivo una letteraccia per lui. Quando l’ho scritta, la rileggo, e mi pare che vada; la chiudo nella sua busta, e vado a deporla nella camera del signor Ferri, sul marmo del comodino, accanto al suo candeliere.

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