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— Segno, — risposi io, — che non sono un Narciso.

— O piuttosto, — ribattè la signorina Wilson, — questa non è acqua da affogarci.

— Lo crede? — replicai. — Provando a tenerci dentro la testa....

— Allora, capisco bene, anche un catino basterebbe. Che bell’acqua viva, del resto! — soggiunse ella, affacciandosi all’argine. — Vien voglia di ficcarci le mani. —

E fece come diceva, affondando le mani, una dopo l’altra, e le braccia fino al gomito nell’onda cristallina, che fece intorno ad esse un lucido braccialetto d’argento. Io frattanto raccattavo il mio povero Orazio, che era scivolato sull’erba, e correva il rischio di prendere una bagnatura tanto molesta, quanto era piacevole alla signorina Wilson quella delle sue braccia indorate dal sole.

— Ecco il compagno di solitudine; — diss’ella, ridendo ancora alla vista del libro che stavo allora per rimettermi in tasca. — Un romanzo!

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