Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 7 — |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Bertacchi - Meteore Luminose, 1883.djvu{{padleft:37|3|0]]avvenire che si formi un cerchio intero; se allora la porzione superiore si dilegua, rimanendo soltanto l’inferiore si ha l’arco rovesciato.
§ 2.
L’arcobaleno risulta dalle varie modificazioni che la luce assume dentro le goccie e dalla riflessione di essa sulla faccia interna delle medesime. E siccome la sua apparizione è subordinata all’altezza del sole e alla posizione dell’osservatore fra il sole e i vapori che precipitano, facilmente si è indotti a concludere che, per un punto di vista determinato e fisso, non tutti i raggi rifratti dalla superficie esterna convessa e riflessi dalla superficie concava interna dei suoi liquidi globicini, danno luogo per noi effettivamente al fenomeno in questione: bensì tutti possono offrire occasione al fenomeno stesso qualora si cangi opportunamente la posizione dell’occhio nello spazio circostante come ha dimostrato per primo Antonio De Dominis con diffusione e lucicidità tutta geometrica.
Le condizioni nelle quali si determina la visione dell’arcobaleno vale a dire l’opacità della nube scioglientesi in pioggia, la necessaria obliquità del sole e il fatto che dalla sua luce escono i colori, non isfuggirono allo sguardo di Lucrezio; e fa meraviglia come in un tempo in cui esse erano prive di qualunque significazione teorica e non avevano alcuna importanza razionale riconosciuta, egli abbia saputo delinearle in pochi tratti nel suo poema[1]. Meno esatto fu Dante, allorché, descrivendo incidentalmente l’arcobaleno, innamorato della bellezza di una immagine ardita reputò l’iride ancella dell’aria.[2].