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[St. 23-26] libro i. canto vi 117

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23 Tre frati ed io di Ermenia se partimo,
  Per andar al perdono in Zorzania;
  E smarrimo la strata, come io stimo,
  Ed arivamo quivi in Circasia.
  Un fraticel de’ nostri andava primo,
  Perchè diceva lui saper la via.
  Ed ecco indietro correndo è rivolto,
  Cridando aiuto, e pallido nel volto.

24 Tutti guardamo; ed ecco giù del monte
  Venne un gigante troppo smisurato.
  Un occhio solo aveva in mezo al fronte;
  Io non ti sapria dir de che era armato:
  Pareano ungie di draco insieme agionte.
  Tre dardi aveva e un gran baston ferrato;
  Ma ciò non bisognava a nostra presa,
  Che tutti ce legò senza contesa.

25 A una spelonca dentro ce fe’ entrare,
  Dove molti altri avea nella pregione;
  Lì con questi occhi miei viddi io sbranare
  Un nostro fraticel, che era garzone;
  E così crudo lo viddi mangiare,
  Che mai non fo maggior compassïone.
  Poi volto a me dicea: "Questo letame
  Non se potrà mangiar, se non con fame";

26 E con un piè mi trabuccò del sasso.
  Era quel scoglio orribile ed arguto:
  Trecento braccia è dalla cima al basso.
  In Dio speravo, e Lui mi dette aiuto;
  Perchè ruinando io giù tutto in un fasso,
  Me fo un ramo de pruno in man venuto,
  Che uscia del scoglio con branchi spinosi;
  A quel me appresi, e sotto a quel me ascosi.

1. T. e Mr. llerminia; MI. Jlermema; P. Erminia. -- 10. MI. Venir un gran g. tropo ernia. ; Mr. Venir. — 28. P. Ed et. — 29. P. Chi, rovinando. — iil. P. del sasso.

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