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[St. 51-54] libro i. canto viii 161

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51 Non se trovò più om tanto sicuro,
  Che dentro a quella chiesia voglia entrare;
  Cinger poi la feci io d’un forte muro,
  Quello sepolcro a ingegno disserrare.
  Uscinne un mostro contrafatto e oscuro,
  Tanto che alcun non li ardisce a guardare:
  La orribil forma sua non te descrivo,
  Perchè sarai da lui di vita privo.

52 Noi poi servamo così fatta usanza,
  Che ciascun giorno qualcuno è pigliato,
  E lo gettamo dentro a quella stanza,
  Perchè la bestia l’abbia devorato.
  Ma tanto ne pigliamo, che ne avanza;
  Alcun se scanna, alcun vien impiccato;
  Squartansi vivi ancora alcuna fiata,
  Come veder potesti in su la entrata. -

53 Poi che la usanza cruda, ismisurata,
  Fu per Ranaldo pienamente intesa,
  E l’orribil cagione e scelerata
  Che fie’ la bestia, a chi non val diffesa,
  Rivolto a quella vechia dispietata,
  Disse: - Deh! matre, non mi far contesa.
  Concedime, per Dio, che dentro vada,
  Armato come io sono, e con la spada. -

54 Rise la vecchia e disse: - Or pur ti vaglia!
  Quante arme vôi, ti lasciarò portare;
  Chè il mostro con suo dente il ferro taglia,
  Nè contra alle ungie sue se pote armare.
  A te convien morir, non far battaglia,
  Chè la sua pelle non se può tagliare;
  Ma, per fare il tuo peggio, io son contenta,
  Perchè la bestia più lo armato stenta. -

2. T. e MI. chiesia. — i. F. E quel. — 13. T., MI. o Mr. tanto. — 21. T. eatia d. — i32. MI, lo armato più.

BoiAKDo. Orlando innamorato, Voi. I. 11

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