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[St. 35-38] libro i. canto xii 223

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35 A te bisogna un specchio aver per scudo,
  Dove la dama veda sua beltade.
  Senza arme andrai, e de ogni membro nudo,
  Perchè convien entrar per Povertade.
  Di quella porta è lo aspetto più crudo
  Che altra cosa del mondo in veritade;
  Chè tutto il mal se trova da quel lato,
  E, quel che è peggio, ogni om vien caleffato.

36 Ma a l’opposita porta, ove hai a uscire,
  Ritrovarai sedersi la Ricchezza,
  Odiata assai, ma non se gli osa a dire;
  Lei ciò non cura, e ciascadun disprezza.
  Parte del ramo qui convienci offrire,
  Nè si passa altramente quella altezza,
  Perchè Avarizia apresso lei lì siede;
  Benchè abbia molto, sempre più richiede."

37 Prasildo ha inteso il fatto tutto aperto
  Di quel giardino, e ringraziò il palmiero.
  Indi se parte e, passato il deserto,
  In trenta giorni gionse al bel verziero;
  Ed essendo del fatto bene esperto,
  Intra per Povertate de leggiero.
  Mai ad alcun se chiude quella porta,
  Anci vi è sempre chi de entrar conforta.

38 Sembrava quel giardino un paradiso
  Alli arboscelli, ai fiori, alla verdura.
  De un specchio avea il baron coperto il viso,
  Per non veder Medusa e sua figura;
  E prese nello andar sì fatto aviso,
  Che all’arbor d’oro agionse per ventura.
  La dama, che apoggiata al tronco stava,
  Alciando il capo nel specchio mirava.

11. P. omjn. a. — 16. P. si sfede. — 32. P. lo specchio.

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