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[St. 23-26] libro i. canto xiii 243

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23 Ma non per tanto lascia de ferire;
  Or nella pancia il passa or nel gallone,
  Di tante ponte, che il fece morire;
  Poi si levava in piede quel barone.
  Gran periglio ha portato, a non mentire;
  Lui Dio ringrazia con devozïone;
  E già la dama al palafren lo invita,
  Parendo a lei la cosa esser finita.

24 Ma Ranaldo quel loco avia veduto,
  Dove stava il destrier meraviglioso;
  Se non avesse il fatto a pien saputo,
  Serìa stato in sua vita doloroso.
  Era quel sasso orribile ed arguto:
  Dentro vi passa il principe animoso;
  Da cento passi vicino alla intrata
  Era di marmo una porta intagliata.

25 Di smalto era adornata quella porta,
  Di perle e di smiraldi, in tal lavoro
  Che non fu mai da uno occhio d’omo scorta
  Cosa de un pregio di tanto tesoro.
  Stava nel mezo una donzella morta,
  Ed avea scritto sopra in lettre d’oro:
  ’Chi passa quivi, arà di morte stretta,
  Se non giura di far la mia vendetta;

26 Ma se giura lo oltraggio vendicare,
  Che mi fu fatto con gran tradimento,
  Avrà quel bon destriero a cavalcare,
  Che di veloce corso passa il vento.’
  Or non stette Ranaldo più a pensare,
  Ma a Dio promette, e fanne giuramento,
  Che quanta vita e forza l’avrà scorto,
  Vendicherà la dama occisa a torto.

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