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[St. 35-38] libro i. canto xix 343

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35 Mentre che l’uno e l’altro combattia,
  Nè tra lor se cognosce alcun vantaggio,
  La dolorosa gente che fuggia,
  Gionge sopra di loro in quel rivaggio.
  Re Galafron, che sempre li seguia
  Con animo adirato e cor malvaggio,
  Fermosse riguardando il crudo fatto:
  Marfisa ben cognobbe al primo tratto.

36 Ma non cognosce il sir de Montealbano,
  Che seco combattea con arroganza;
  Iudica ben che egli è un omo soprano,
  Di summo ardire e di molta possanza.
  Guardando iscorse il destrier Rabicano,
  Che fu del suo figliolo occiso in Franza;
  Feraguto lo occise con gran pena,
  Come sapeti, alla selva de Ardena.

37 Il vecchio patre assai si lamentava,
  Come ebbe Rabicano il destrier scorto.
  Per nome l’Argalia forte chiamava:
  - O stella de virtute, o ziglio de orto,
  Che più che la mia vita assai te amava:
  È questo il traditor che ti m’ha morto?
  Questo è ben quel malvaggio, a naso il sento,
  Che ti tolse la vita a tradimento.

38 Ma sia squartata e sia pasto di cane
  La mia persona, e sia polver di saldo,
  Se de tua morte per le terre istrane
  Vantando se andarà questo ribaldo! -
  Così dicendo col brando a due mane
  Va furïoso adosso di Ranaldo,
  E lo ferisce con tanta ruina,
  Che sopra al collo a quel destrier l’inchina.

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