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[St. 43-46] libro i. canto xxi 377

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43 Volgendo al cel le luce lacrimose:
  - Chi mi campò, - dicea - da mortal sorte
  Per darmi pene tanto dolorose?
  Or non me era assai meglio aver la morte?
  Spirti dolenti ed anime piatose
  Che stati del morir sopra le porte,
  Pietà vi prenda della pena mia,
  Ch’io vo’ venir con vosco in compagnia!

44 Non voglio viver, non, senza colei,
  Che sola ene il mio bene e ’l mio conforto;
  Vivendo, mille volte io morirei.
  Ahi, Fortuna crudel, come a gran torto
  Presa hai la guerra contro a’ fatti miei!
  Or che te giovarà poi che sia morto?
  Che farai poi, crudel, senza lïanza?
  Chè morte finirà la tua possanza.

45 Tolto m’hai del paese ove fui nato,
  Chè ancor me odiasti essendo fanciullino;
  Di mia casa reale io fui robato,
  E venduto per schiavo piccolino;
  Il nome de mio patre aggio scordato
  E il mio paese, misero! tapino!
  Ma solo il nome de mia matre ancora
  Fermo nella memoria mi dimora.

46 Fortuna dispietata, iniqua e strana,
  Tu me facesti servo ad un barone,
  Quale era conte di Rocca Silvana;
  E poi, per darmi più destruzïone,
  Con falso viso ti mostrasti umana:
  E il conte, che mi desti per padrone,
  Franco mi fece; e, non avendo erede,
  Ogni sua robba e il suo castel mi dede.

8. Mr. Che io vuo venir vosco. — 13. MI., Mr. e P. ai /atti. — 26. P. d' uh. — 9-82. Questi versi mancano in MI. — 82. MI. roba. MI. e P. déd«.

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