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[St. 47-50] libro i. canto xxiii 413

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47 Lei, come una leonza che di pare
  Se veggia in mezo a duo cervi arivata,
  Che ad ambo ha il core e non sa che si fare,
  Ma batte i denti, e quello e questo guata;
  Cotal Marfisa se vedea mirare,
  Adosso l’uno e l’altro inanimata,
  Sol dubitando la regina forte
  A cui prima donar debba la morte.

48 Ma star sospesa non li fa mestiero,
  Chè ben gli diè Grifone altro pensare;
  Ad ambe mani il giovanetto fiero
  Un colpo smisurato lasciò andare.
  Il drago, che ha la dama per cimiero,
  Fece in due parte alla terra callare;
  Non fo Marfisa per quel colpo mossa,
  Benchè sentisse al capo gran percossa.

49 Verso Grifon turbata un colpo mena,
  Con quel gran brando che ha tronca la ponta;
  Ma non è verso lui voltata apena,
  Che nel collo Aquilante l’ebbe gionta.
  Pensati or se ella rode la catena,
  E se a tal cosa prese sdegno ed onta,
  Perchè quel colpo orribile e improviso
  Batter li fece contra a l’elmo il viso.

50 E gli uscì il sangue da’ denti e dal naso,
  Che non gli avvenne in battaglia più mai.
  Dricciandosi cridò: - Giotton malvaso,
  Se tu sapesti quel che tu non sai,
  Voresti nel girone esser rimaso:
  Or vo’ che sappi che tu morirai
  Per le mie mane, e non è in celo Iddio
  Che te possa campar dal furor mio. -

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