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[St. 35-38] libro i. canto xxv 439

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35 Lasciamo questi insieme al pavaglione,
  Che se posarno insino alla matina,
  E ritornamo al fïo di Melone,
  Qual con gran voluntà sempre camina,
  Tanto che ad Albracà gionse al girone;
  E già il sole alla sera se dichina,
  Quando quel cavallier cotanto forte
  Gionse alla rocca dentro dalle porte.

36 E già non par che venga dalla danza;
  L’arme ha spezzato ed è senza cimiero,
  Arsa è la sopravesta, e non ha lanza
  E non ha scudo l’ardito guerrero;
  Ma pur mostrava ancor grande arroganza,
  Tanto superbo avea lo aspetto fiero,
  E qualunche il mirasse in su Baiardo
  Direbbe: Questo è il fior d’ogni gagliardo.

37 Come fo gionto dentro a l’alta rocca,
  Angelica la bella l’incontrava.
  Lui salta de l’arcion, che nulla tocca;
  La dama di sua mano il disarmava,
  E nel trargli de l’elmo il bacia in bocca:
  Non dimandati come Orlando stava;
  Chè, quando presso si sentì quel viso,
  Credette esser di certo in paradiso.

38 Avea la dama un bagno apparecchiato,
  Troppo gentile e di suave odore,
  E di sua mano il conte ebbe spogliato,
  Baciandol spesse fiate con amore.
  Poi l’ungiva d’uno olio delicato,
  Che caccia de la carne ogni livore;
  E quando la persona è afflitta e stanca,
  Per quel ritorna vigorosa e franca.

3. P. fluUo. - 11. T. e MI. omm. h — U. P. eflero. - 23. T. e MI. pr(^a$o.

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