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444 | orlando innamorato | [St. 55-58] |
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55 Sempre a mia possa l’aggio favorito
Nella gran corte de lo imperatore;
E mille volte che è stato bandito,
L’ho ritornato in grazia al mio segnore.
Lui amato non m’ha nè reverito;
Pur, a sua onta, io son di lui maggiore,
Chè egli è di piccol terra castellano,
Ed io son conte e senator romano.
56 Lui non mi porta amore o riverenza,
Bench’io m’abbia de ciò poco a curare,
E sempre io volsi che la mia prudenza
La sua pacìa dovesse temperare;
Or romper mi convien la pacïenza,
Chè a tal taglier non puon duo giotti stare,
Sì che finirla io son deliberato,
Chè compagnia non vôle amor nè stato.
57 Se lui campasse, egli ha tanta malizia,
Ch’io resterebbi di mia vita privo;
Lui sa del lusingare ogni tristizia,
E più che alcun demonio egli è cattivo;
E se io volessi alciare una pelizia
Di donna, io non serìa morto nè vivo:
Se lei non m’insegnasse o desse ardire,
Cominciar non saprebbi io nè finire.
58 Chè! dico io, adunque fia abattuta
La lunga parentezza ed amistade,
Che fu da’ nostri antiqui mantenuta?
Mal faccio, e lo cognosco in veritade;
Ma da dritta ragione amor mi muta,
E fia partita al tutto con le spade
Nostra amistade antiqua e parentella,
E l’amor nostro di questa donzella."
22. T. e MI. Di dama. — 23. P. S" ella. — 25. MI., Mr. e P. che dico.