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[St. 3-6] libro i. canto xxvi 447

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3 Dice la istoria che a lui era davante
  Un gran Macon di pietra marmorina:
  Era intagliato a guisa d’un gigante.
  In questo gionse il conte a gran ruina,
  Sì che dal capo insin sotto le piante
  Tutto il fraccassa Durindana fina;
  Tanti colpi li dà dritto e a roverso,
  Che a terra in pezzi lo mandò disperso.

4 Con questa furia il senator romano
  Stava aspettando il giorno luminoso;
  Ma giù nel campo il sir de Montealbano
  Non prende già di lui maggior riposo,
  Chè è tutto armato ed ha Fusberta in mano,
  E tempestando va quel furïoso:
  Arbori e piante con la spada taglia,
  Tanto desire avea di far battaglia.

5 Era ancora la notte molto oscura,
  Nè in alcun lato si mostrava il giorno,
  Quando Ranaldo, ch’è senza paura,
  Monta a destriero e pone a bocca il corno.
  Ben par che ’l monte tremi e la pianura,
  Sì forte suona quel barone adorno;
  E ’l conte Orlando cognobbe di saldo
  A quel suonare il corno di Ranaldo.

6 E tanta fiamma li soggionse al core,
  Che più non pose a l’ira indugio o sosta,
  E prese il corno; e con molto romore
  Gli fece minacciando aspra risposta,
  Dicendo nel suonar: - Can traditore,
  Come te piace ormai vieni a tua posta,
  Ch’io smonto al piano, e ben te sazio dire
  Che di tua gionta ti farò pentire. -

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