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[St. 27-30] libro i. canto xxvi 453

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27 Orlando il guadagnò, come io ve ho detto,
  Allor che il re Agrican fece morire;
  E quel destrier, come avesse intelletto,
  Contra Ranaldo non volse venire;
  Ma voltasi a traverso a mal dispetto
  De Orlando, proprio al contro del ferire.
  Sua lancia cadde al conte in su l’arcione,
  Ranaldo lo colpì sopra al gallone;

28 E fu per roversarlo a l’altro lato.
  Or chi saprebbe a ponto ricontare
  L’alto furor di quel conte adirato?
  Chè, quando a più tempesta mugia il mare,
  E quando a maggior foco è divampato,
  E quando se ode la terra tremare,
  Nulla serebbe a l’ira smisurata
  Che in sè raccolse Orlando in quella fiata.

29 Non vedea lume per li occhi nïente,
  Benchè gli avesse come fiamma viva;
  E sì forte battea dente con dente,
  Che di lontan il gran romor se odiva.
  Del naso gli uscia fiato sì rovente,
  Che proprio il riguardar foco appariva.
  Or più di ciò contar non è mestiero:
  Con ambi sproni afferra il bon destriero.

30 Ed a quel tempo ben ricolse il freno,
  Credendolo a tal guisa rivoltare;
  Non si muove Baiardo più ni meno,
  Come fosse nel prato a pascolare.
  Poi che Ranaldo vidde il fatto a pieno,
  Comincia al conte in tal modo a parlare:
  - Gentil cugin, tu sai che a Dio verace
  Ogni iniustizia e mal fatto dispiace.

5, T. « Mr, voltassi', MI. o P, voltoaai. — 28. T. e MI. mistiero.

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