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464 | orlando innamorato | [St. 3-6] |
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3 E si facean l’un l’altro orribil guardi,
Parlando con voce aspra e minacciante;
E benchè al cominciar paresser tardi,
Come io ve dimostrai nel dir davante,
Ciò fu che di persona sì gagliardi
E di cor fu ciascun tanto arrogante,
Che ragionando si stavano adaggio,
Mostrando non curar alcun vantaggio.
4 Ma poi che Orlando trasse Durindana
Forte cridando: - Or se vedrà la prova,
Se a tua prodezza, che è tanto soprana,
Un altro pare in terra se ritrova! -
La cosa più non va suave e piana;
Ponto è Ranaldo: convien che si mova.
Però prende Fusberta ad ambe mano,
E verso il conte sprona Rabicano.
5 E menò un colpo terribile e fiero,
Come colui che ha forza oltra misura;
Il dio d’amor, che ha il conte per cimiero,
Volò con l’ale rotte alla pianura.
L’elmo d’Almonte ben gli fie’ mestiero,
Chè qua la affatason non lo assicura,
Poi che Ranaldo a tanta furia il tocca,
Che gli avria posto le cervelle in bocca.
6 Ma il conte, che d’orgoglio è troppo caldo,
Quella percossa non cura un lupino;
E, stretto come un scoglio a l’onde saldo,
Che non se crolla dal vento marino,
Lui con gran forza percosse Ranaldo
Sopra de l’elmo, che fu de Mambrino;
Ma lui, che è tanto fiero e sì possente,
Per quel gran colpo se mosse nïente.