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[St. 7-10] libro i. canto xxix 495

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7 Un altro giovanetto ancor l’amava;
  Non più di me, chè più non se può dire,
  Ma giorni e notti sempre lacrimava,
  Quasi condutto a l’ultimo morire.
  Locrino il cavallier si nominava,
  Qual soffrea per amor tanto martìre,
  Che giorno e notte, lacrimando forte,
  Chiedea per suo ristor sempre la morte.

8 Lei l’uno e l’altro con bone parole
  E tristi fatti al laccio tenìa preso,
  Mostrandoci nel verno le vïole,
  E il giaccio nella state al sole acceso;
  E benchè spesso, come far si suole,
  Fosse l’inganno suo da noi compreso,
  Non fo l’amor d’alcuno abandonato,
  Credendo più ciascuno essere amato.

9 Più volte avante a lei mi presentai,
  Formando le parole nel mio petto,
  Ma poi redirle non puote’ giamai,
  Chè, come io fu’ condutto al suo cospetto,
  Quel che pensato avea, domenticai,
  E sì perdei la voce e l’intelletto
  E tutti e sentimenti per vergogna,
  Ch’era il mio ragionar d’un om che sogna.

10 Pur mi diè amore al fin tanta baldanza,
  Che un tal parlare a lei da me fu mosso:
  "Se voi credesti, dolce mia speranza,
  Ch’io potessi soffrir quel che io non posso,
  E che la vita mia fosse a bastanza
  Del foco che m’ha roso insino a l’osso,
  Lasciati tal pensiero in abandono,
  Chè se aiuto non ho, morto già sono.

12. P. omm. E. — 26. T. e Mr. un parlare a lei-, P. un parlar aolo a lei.

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