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[St. 43-46] libro iii. canto vii 109

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43 - Se lui te la promisse, e lui te attenda! -
  Rispose il conte, in collera salito
  - Ben parlo chiaro, e vo’ che tu me intenda,
  Che non è cavallier cotanto ardito,
  Dal qual mia spata ben non mi diffenda;
  E se a te piace mo questo partito
  Di guadagnarla in battaglia per forza,
  Eccola qua: ma guàrdati la scorza. -

44 Così dicendo avea già tratto il brando,
  A cui piastra nè usbergo non ripara;
  Gradasso d’altra parte fulminando
  Trasse del fodro la sua simitara.
  Araldo non vi è qua che faccia il bando,
  Nè re che doni il campo chiuso a sbara;
  Ma senza cerimonie e tante ciacare
  Ben se azufarno, e senza trombe e gnacare.

45 E cominciano il gioco con tal fretta,
  Con tanta furia e con tanta ruina,
  Che l’una botta l’altra non aspetta;
  De intorno al capo l’elmo gli tintina,
  E ciascun colpo fuoco e fiama getta.
  Come sfavilla un ferro alla fucina,
  Come chiocca le fronde alla tempesta,
  Cotal l’un l’altro mena e mai non resta.

46 Menò a due mano il conte un colpo crudo,
  Con tal furor che par che il mondo cada;
  Gradasso il vidde e riparò col scudo,
  Ma non giova riparo a quella spada:
  La targa e usbergo in fino al petto nudo
  Convien che ’n pezzi a la campagna vada,
  E la gorzera e parte del camaglio
  Ne portò seco a terra de un sol taglio.

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