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[St. 47-50] | libro iii. canto i | 15 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Boiardo - Orlando innamorato III.djvu{{padleft:25|3|0]]
47 Non so se fu fortuna o fusse caso,
Quando caderno entrambi de lo arcione
Di sopra Mandricardo era rimaso,
E convenne a Gradasso esser pregione.
Già se ne andava il sol verso l’occaso
Allor che se finì la questïone,
E la donzella di cui vi ho parlato,
Con piacevol sembiante entrò nel prato;
48 Ed a Gradasso disse: - O cavalliero,
Vetar non pôsse quel che vôl fortuna;
Lasciar questa battaglia è di mestiero,
Perchè la notte vene e il cel se imbruna.
Ma a te che hai vinto, tocca altro pensiero;
E dir ti so che mai sotto la luna
Fo sì strana ventura in terra o in mare,
Come al presente converrai provare.
49 Come di novo il giorno sia apparito,
Vedrai l’arme di Ettorre e chi le guarda;
Ora che il sole all’occidente è gito,
Entrar non pôi, chè l’ora è troppo tarda.
In questo tempo pigliaren partito
Che tua persona nobile e gagliarda
Qua sopra a l’erba prenda alcun riposo,
Sin che il sol se alci al giorno luminoso.
50 Dentro alla rocca non potresti entrare
(Di notte mai non se apre quella porta);
Tra fiori e rose qua pôi riposare,
Ed io vegliando a te farò la scorta.
Ben, se ti piace, te posso menare
Ove una dama grazïosa e accorta
Onora ciascaduno a un suo palagio,
Ma temo che ivi avresti onta e dannagio.