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26 | la cena de le ceneri |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Bruno - Cena de le ceneri.djvu{{padleft:40|3|0]]che non valean far quel progresso col spirto, che non può far l'ignobile e dissolubile composto, li rende non men presenti, che se fussero proprii abitatori del sole, de la luna, ed altri nomati astri; dimostra, quanto siino simili, o dissimili, maggiori, o peggiori quei corpi, che veggiamo lontano a quello, che n’è a presso, ed a cui siamo uniti; e n’apre gli occhi a veder questo nume, questa nostra madre, che nel suo dorso, ne alimenta e ne nutrisce, dopo averne produtti dal suo grembo, al qual di nuovo sempre ne riaccoglie, ed a non pensar oltre, lei essere un corpo senza alma e vita, ed anche feccia tra le sustanze corporali. A questo modo sappiamo, che, se noi fussimo ne la luna, o in altre stelle, non saremmo in loco molto dissimile a questo, e forse in peggiore, come possono esser altri corpi così buoni, ed anco migliori per sè stessi, e per la maggior felicità de’ proprii animali. Così conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti numi, che son quelle tante centinaia di migliaia, ch’assistono al ministerio e contemplazione del primo, universale, infinito ed eterno efficiente. Non è più imprigionata la nostra ragione coi ceppi di fantastici mobili e motori otto, nove e dieci. Conoscemo, che non è ch’un cielo, una eterea regione immensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie distanze, per comodità de la participazione de la perpetua vita. Questi fiammeggianti corpi son que’ ambasciatori, che annunziano l’eccellenza de la gloria e maestà di Dio. Così siamo promossi a scoprire l’infinito effetto de l’infinita causa, il vero e vivo vestigio de l’infinito vigore, ed abbiamo dottrina di non cercar la divinità rimossa da noi, se l’abbiamo a presso, anzi di dentro, più che noi medesmi siamo dentro a noi; non meno che li coltori de gli altri