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deputato.
Quando, in occasione del dibattimento per la cessione della Savoja e di Nizza alla Francia, nella Camera elettiva il presidente Lanza annunciò che la parola spettava al deputato Ferrari, si produsse su tutti i banchi e nelle tribune un movimento assai significante d’attenzione, e gli occhi d’ognuno si conversero verso il seggio dal quale sorgeva il celebre professore di filosofia.
L’opinione generale, n’è pur d’uopo confessarlo, non gli era favorevole: lo si sapeva oppositore, alcuni dicevano repubblicano, altri il giudicavano, o per meglio dire, il ritenevano perfin socialista; tutti si attendevano a udire delle stranezze, e peggio, dalla sua bocca. Delle stranezze ne udimmo, egli è mestieri di convenirne, ma è pure da aggiungere che le furono stranezze improntate allo stampo del genio, e che a quando a quando in mezzo a quell’effluvio d’idee irrompenti, disordinate e sovente sconnesse, dalle labbra dell’oratore, qualche grandiosa e splendida verità balenò all’orecchio degli uditori ed eccitò irrefrenabili mormorî d’ammirazione.
Noi non fummo certo degli ultimi ad esser cattivati e scossi da quelli accenti inauditi, che valevano a brevi intervalli a rallegrare, a stupire, o a indignare la Camera, e naturalmente provammo il più vivo desiderio di avvicinare il rappresentante di Luvino e di conoscere e di studiare dappresso un personaggio a tanti riguardi così rimarchevole.
Questo nostro desiderio è stato appagato; noi abbiamo avuto due lunghi colloqui col Ferrari, ed ora ci crediamo in grado di dar di lui e della sua vita un’idea al lettore, che non si discosti troppo dal vero.
Il nostro protagonista è nato in Milano dal medico Giovanni e da Rosalinda Ferrari nel 1811. I primi studi furono da lui fatti al ginnasio di Sant’Alessandro,