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III.

AD ANGELO MAI,

QUAND’EBBE TROVATO I LIBRI
DI CICERONE
DELLA REPUBBLICA.


  Italo ardito, a che giammai non posi
Di svegliar dalle tombe
I nostri padri? ed a parlar gli meni
A questo secol morto, al quale incombe
5Tanta nebbia di tedio? E come or vieni
Sì forte a’ nostri orecchi e sì frequente,
Voce antica de’ nostri,
Muta sì lunga etade? e perchè tanti
Risorgimenti? In un balen feconde
10Venner le carte; alla stagion presente
I polverosi chiostri
Serbaro occulti i generosi e santi
Detti degli avi. E che valor t’infonde,
Italo egregio, il fato? O con l’umano
15Valor forse contrasta il fato invano?

  Certo senza de’ numi alto consiglio
Non è ch’ove piú lento
E grave è il nostro disperato obblio,
A percoter ne rieda ogni momento
20Novo grido de’ padri. Ancora è pio
Dunque all’Italia il cielo; anco si cura

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