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con gli studi sepolti,
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i vetusti divini, a cui natura parlò senza svelarsi, onde i riposi 55magnanimi allegrâr d’Atene e Roma. Oh tempi, oh tempi avvolti in sonno eterno! Allora anco immatura la ruina d’Italia, anco sdegnosi eravam d’ozio turpe, e l’aura a volo 60piú faville rapía da questo suolo.
Eran calde le tue ceneri sante,
non domito nemico della fortuna, al cui sdegno e dolore fu piú l’averno che la terra amico. 65L’averno: e qual non è parte migliore di questa nostra? E le tue dolci corde susurravano ancora dal tocco di tua destra, o sfortunato amante. Ahi! dal dolor comincia e nasce 70l’italo canto. E pur men grava e morde il mal che n’addolora del tedio che n’affoga. Oh te beato, a cui fu vita il pianto! A noi le fasce cinse il fastidio; a noi presso la culla 75immoto siede, e su la tomba, il nulla.
Ma tua vita era allor con gli astri e il mare,
ligure ardita prole, quand’oltre alle Colonne, ed oltre ai liti, cui strider l’onde all’attuffar del sole 80parve udir su la sera, agl’infiniti[1] flutti commesso, ritrovasti il raggio del sol