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288 vii. inno ai patriarchi

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Pasce l’avida plebe) amica un tempo
90Al sangue nostro e dilettosa e cara
Questa misera paggia, ed aurea corse
Nostra caduca età. Non che di latte
Onda rigasse intemerata il fianco
Delle balze materne, o con le greggi
95Mista la tigre a consueti ovili
Nè guidasse per gioco i lupi al fonte
Il pastorel; ma di suo fato ignara
E degli affanni suoi, vota d affanno
Visse l’umana stirpe; alle secrete
100Leggi del cielo e di natura indutto
Valse l'ameno error, le fraudi, il molle
Pristino velo; e di sperar contenta
Nostra placida nave in porto ascese.

  Tal fra le vaste californie selve
105Nasce beata prole, a cui non sugge
Pallida cura il petto, a cui le membra
Fera tabe non doma; e vitto il bosco,
Nidi l’intima rupe, onde ministra
L’irrigua valle, inopinato il giorno
110Dell’atta morte incombe, Oh contra nostro
Scellerato ardimento inermi regni
Della saggia natura! I lidi e gli antri
E le quiete selve apre I’ invitto
Nostro furor; le violate genti.
115Al peregrino affanno, agl'ignorati
Desiri educa; e la fugace, ignuda
Felicità per l’imo sole incalza.

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