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xxvi. il pensiero dominante 99

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  Sempre i codardi, e l’alme
ingenerose, abbiette
55ebbi in dispregio. Or punge ogni atto indegno
subito i sensi miei;
move l’alma ogni esempio
dell’umana viltá subito a sdegno.
Di questa etá superba,
60che di vòte speranze si nutrica,
vaga di ciance, e di virtú nemica;
stolta, che l’util chiede,
e inutile la vita
quindi piú sempre divenir non vede;
65maggior mi sento. A scherno
ho gli umani giudizi; e il vario volgo
a’ bei pensieri infesto,
e degno tuo disprezzator, calpesto.

  A quello onde tu movi,
70quale affetto non cede?
anzi qual altro affetto
se non quell’uno intra i mortali ha sede?
Avarizia, superbia, odio, disdegno,
studio d’onor, di regno,
75che sono altro che voglie
al paragon di lui? Solo un affetto
vive tra noi: quest’uno,
prepotente signore,
dieder l’eterne leggi all’uman core.

  80Pregio non ha, non ha ragion la vita
se non per lui, per lui ch’all’uomo è tutto;
sola discolpa al fato,
che noi mortali in terra
pose a tanto patir senz’altro frutto;
85solo per cui talvolta,
non alla gente stolta, al cor non vile
la vita della morte è piú gentile.

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