< Pagina:Canti (Leopardi - Donati).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

xxxii. palinodia 121

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Canti (Leopardi - Donati).djvu{{padleft:131|3|0]]

vie del Tamigi fia dischiuso il varco,
opra ardita, immortal, ch’esser dischiuso
dovea, giá son molt’anni. Illuminate
meglio ch’or son, benché sicure al pari,
130nottetempo saran le vie men trite
delle cittá sovrane, e talor forse
di suddita cittá le vie maggiori.
Tali dolcezze e sí beata sorte
alla prole vegnente il ciel destina.

  135Fortunati color che mentre io scrivo
miagolanti in su le braccia accoglie
la levatrice! a cui veder s’aspetta
quei sospirati dí, quando per lunghi
studi fia noto, e imprenderá col latte
140dalla cara nutrice ogni fanciullo,
quanto peso di sal, quanto di carni,
e quante moggia di farina inghiotta
il patrio borgo in ciascun mese; e quanti
in ciascun anno partoriti e morti
145scriva il vecchio prior: quando, per opra
di possente vapore, a milioni
impresse in un secondo, il piano e il poggio,
e credo anco del mar gl’immensi tratti,
come d’aeree gru stuol che repente
150alle late campagne il giorno involi,
copriran le gazzette, anima e vita
dell’universo, e di savere a questa
ed alle etá venture unica fonte!

  Quale un fanciullo, con assidua cura,
155di fogliolini e di fuscelli, in forma
o di tempio o di torre o di palazzo,
un edificio innalza; e come prima
fornito il mira, ad atterrarlo è vòlto,
perché gli stessi a lui fuscelli e fogli

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.